Storica osteria che resiste a Roma da 60 anni svela la ricetta della mitica coda alla vaccinara

Aperto nel 1961 in un centro che non somigliava a quello di oggi, Armando al Pantheon è ora alla terza generazione. Fabiana Gargioli racconta l’evoluzione di un’impresa lunga 63 anni. Un’autentica epopea familiare.

“In 63 anni, siamo cambiati tanto per cambiare il meno possibile”: riassume così, con un riferimento letterario, Fabiana Gargioli, terza generazione della famiglia che dal 1961 presiede una delle più affidabili osterie di Roma. Sono partiti dal centro storico e non hanno abbandonato la prima sede di Armando al Pantheon, che si trova a una manciata di metri dal monumento antico 2mila anni. La cucina sembra essere la stessa, ma dietro al menu si lavora tanto per tenere il passo; poi c’è il lavoro attento in sala e un passaggio di mano ai giovani Gargioli (ma non solo). Affinché, anche in una zona che non è più quella di una volta, la cucina romana mantenga un suo ‘porto sicuro’. Ecco come ci riescono.

Vino e gioco delle carte: gli esordi di Armando Gargioli

“Di nonno Armando ho un ricordo bellissimo”, racconta Fabiana, “Ho ancora una foto di lui che mi insegna camminare in spiaggia”. Simpatico, generoso, sorridente, il signor Gargioli era uno di quei romani nati davvero a Roma, a Campo de’ Fiori, “quando ancora ci abitavano le persone comuni”. Nel ’61, indirizzato da amici, rileva un ristorante già un po’ démodé al civico 31 di Salita de’ Crescenzi, e lo trasforma in una bottiglieria con cucina. “Da una parte c’erano i tavolini per chi voleva bere un bicchiere; dall’altra quelli per mangiare. Un posto verace, di quelli con la segatura per terra”, ricorda la nipote.

Poi però la sua cucina, pur da totale autodidatta, conquista il favore dei clienti, e il locale diventa al 100% trattoria. “Nonno è rimasto vedovo giovanissimo, quando mio padre Claudio aveva 16 anni e mio zio soltanto 6”, in quel momento la famiglia si è stretta e anche loro, che stavano studiando, hanno affiancato il padre.

La seconda generazione di Armando al Pantheon in cucina

“Eravamo in affitto e lo siamo tutt’oggi”, dice Fabiana, “la proprietà non ha mai voluto vendere. Le spese sono altissime, ma questo posto non potremmo mai lasciarlo, perché è casa nostra”. Nonno Armando ci passava i pomeriggi dopo il servizio, giocando a carte coi clienti, e lì sono cresciuti i fratelli Claudio e Fabrizio, la seconda generazione. Il primo in cucina, “dove si è impastato di cultura romana, non solo ripetendo i piatti di nonno, ma anche studiando i libri di Ada Boni, Jannattoni e addirittura Apicio, il cuoco dell’imperatore Tiberio”. Le classiche pietanze laziali vengono un po’ alleggerite, la materia prima si seleziona dai fornitori e si inseriscono ricette ‘arcaiche’, “che non fa più nessuno”. Ad esempio il coscio d’anatra con le prugne e la faraona con porcini e birra nera, oggi classici di Armando al Pantheon.

‘Cambiare tanto per non cambiare niente’: la terza generazione dei Gargioli

Fabiana Gargioli, ora 45enne e mamma di due figli, è la prima tra i cugini a entrare al ristorante. “Sono 22 anni che tra una cosa e l’altra lavoro al ristorante, ma a pieno titolo una quindicina”. Anche lei ha cominciato un percorso universitario, poi è volata in Scozia a lavorare in hotel, prima di rientrare a Roma. “Quando i miei hanno avuto bisogno di una mano ho voluto fare le cose per bene e mi sono diplomata sommelier, coinvolgendo anche mio zio Fabrizio che così ha consolidato la sua esperienza”. La cantina diventa più ragionata, il locale è oggetto di una ristrutturazione — “abbiamo levato le trecce di aglio e peperoncini da intorno ai lampadari. Siamo rimasti fedeli a noi stessi, ma i tempi sono cambiati e la cucina tradizionale va rappresentata fuori dai cliché” — e arrivano novità anche in cucina.

Prima con l’aiuto del suo allora compagno Mario Rinaldi, poi con un avvicendamento sostanziale dopo il covid. “Mio padre Claudio ha deciso che era il momento di riposarsi un po’, e ha richiamato a Roma anche mia sorella Claudia”. Laureata in lingue orientali, ha studiato all’accademia di Niko Romito a Castel di Sangro. Oggi lei si occupa di antipasti e dolci, e affianca il compagno Graziano Roscioli, anch’esso fresco di Accademia, che presiede il resto. In sala, invece, dopo la laurea in Economia e Commercio con 110 e lode, è arrivato il giovane Flavio Gargioli. Un’altra cugina, inoltre, è Chiara Maria, che si occupa della comunicazione.

Il menu di Armando al Pantheon oggi

“Graziano, Mario e Claudia hanno grande tecnica e tante nuove idee”, racconta Fabiana, “che usiamo per rendere più moderni i classici, senza stravolgerli”. C’è ancora ad esempio il garofolato, uno stufato di manzo con chiodi di garofano — una ricetta da ‘Roma sparita’ — l’abbacchio scottadito, la mitica stracciatella, poi picchiapò e saltimbocca (14-22€). Inamovibili i primi romani, le polpette e la trippa, tra le migliori in città (16-17€). Prima della Torta Antica Roma, con ricotta, confettura di fragole e semi di papavero, si trovano anche i bottoncini di pane ripieni di coratella e il filetto di aringa con cipolla rossa e fagioli, prova di un menu non ripetitivo. Da Arcangelo al Pantheon vengono ancora i romani non ‘spaventati’ dal traffico di turisti, “e un sacco di americani e australiani, soprattutto dopo la trasmissione di Stanley Tucci”. I Gargioli, infatti, dopo la serie della BBC condotta dalla star, sono famosissimi anche all’estero.

La ricetta della coda alla vaccinara di Armando al Pantheon

Dal ricettario della famiglia Gargioli, condividiamo una delle ricette preferite dai commensali, e in primo luogo da Fabiana: la coda alla vaccinara, direttamente dal libro di Claudio Gargioli La mia cucina romana e con le sue annotazioni originali.

Ingredienti (per 6 persone):

  • 3 code di vitellone o manzo
  • 2 kg di pomodori pelati
  • 70 g di grasso di prosciutto
  • 2 cipolle
  • 2 spicchi d’aglio
  • 12 chiodi di garofano
  • 1 bicchiere di vino bianco
  • 1 sedano
  • 50 g di uvetta
  • 30 g di pinoli
  • 10 g di cioccolato amaro
  • olio di oliva
  • sale e pepe q.b.

Preparazione:

  1. La coda deve essere tagliata in tocchetti di 5/8 centimetri. Non essendo facile, fatevi aiutare dal solito macellaio di fiducia, che è pratico del taglio ed è dotato di quei coltelli grandi che di solito non si tengono in casa perché sono pericolosi, specie per voi, se li dovesse tenere in mano vostra moglie durante un litigio.
  2. Dunque, tagliata la coda, lavatela, asciugatela e mettetela da parte, in attesa di tuffarla in un tegame bello capiente, dove nel frattempo preparate un soffritto con olio, lardo e grasso di prosciutto. Fatelo insaporire per un paio di minuti e poi ci tuffate la coda.
  3. Lasciatela scrocchiarellare un po’, salatela e pepatela, aggiungete quindi una cipolla tagliata fine, due spicchi d’aglio schiacciati, una decina di chiodi di garofano, pepe nero come la notte e un bel bicchiere di vino bianco. Coprite e lasciate insaporire per altri dieci minuti.
  4. A questo punto, mettete nel tegame anche un barattolo di pomodoro e coprite il tutto con acqua. Fate cuocere a fuoco vivace e aspettate con calma un paio d’ore
  5. Ogni tanto date uno sguardo al sugo affinché non si ritiri troppo, ed eventualmente aggiungete altra acqua.
  6. Prendete un bel sedano, non quello bianco che si mangia a cazzimperio (con olio, sale e pepe), ma quello verde, ignorante, che si presenta malissimo alla vista ma il cui aroma è ciò che rende questo piatto così saporito.
  7. Allora, prendete questo tipo di sedano, togliete la parte con le foglie (se mangiate in quantità, possono dare effetti tossici) e tagliatelo in pezzi lunghi circa quanto il dito medio. È chiaro che se avete una manona larga come un prosciutto, vi dovete regolare in un’altra maniera, cioè tagliatelo in pezzi di 7/8 centimetri.
  8. Mettetelo a bollire in un tegame a parte con acqua e sale e, appena cotto, passatelo in un frullatore e poi rimettetelo nel suo tegame, aggiungendoci pinoli, uvetta, cioccolato amaro in polvere e un po’ del sugo della coda che sta ancora cuocendo per conto suo.
  9. Mettete il tegame contenente il sedano e gli altri ingredienti sul fornello a fuoco moderato e lasciatecelo per qualche minuto.
  10. Quando la coda è cotta, versateci sopra la salsa fatta con il sedano e gli altri ingredienti e fatela amalgamare. Lasciate riposare il tutto almeno mezz’ora e poi decantate il grasso in eccesso affiorato in superficie.

Questa ricetta, tramandata di generazione in generazione, rappresenta non solo un piatto iconico della cucina romana, ma anche l’eredità di una famiglia che ha saputo mantenere viva la tradizione, adattandosi ai tempi senza mai perdere la propria identità. Buon appetito!

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